Sbagliando non s’impara
Umanamente diabolico e diabolicamente umano, il Carrellante è l’errante per eccellenza. Erra perché sbaglia, erra perché si aggira per il campo in cerca della pallina spedita ovunque.
Di Massimo De Luca


Se errare è umano e perseverare è diabolico, il Carrellante-tipo appartiene di diritto a entrambe le categorie, al massimo livello. È molto umano, perché molto sbaglia. È molto diabolico, perché tantissimo persevera; non semplicemente insistendo a corteggiare il gioco nonostante ne riceva in cambio gratificazioni in dosaggio omeopatico, ma persevera, in realtà, nella stessa, identica tipologia di errore.
Tipologia che varia, con ampia gamma di sfumature, da individuo a individuo: c’è chi si ostina a tirare sempre un ferro in meno, per poi restare corto, perché una volta nella vita con quel bastone aveva fatto 10 metri di più (trascurando il dettaglio che quell’unica volta appartiene a un passato ormai remoto, quando diverso era il fisico e più ampio lo swing); c’è chi sottovaluta sistematicamente la pendenza del green, autoconvincendosi che la pallina non piegherà poi tanto, e si consegna così al rodimento dei tre putt; c’è chi, dopo una flappa dall’erba rasata dell’avant green, giura a se stesso che la prossima volta si rifugerà in un ferro a correre ma poi, nell’identica situazione, non sa rinunciare alla tentazione del flop shot per far colpo sull’uditorio e ci ricasca; c’è chi sa perfettamente di dover accelerare attraversando la pallina nel bunker e invece puntualmente rallenta nell’impatto e se la vede rotolare di nuovo fra i piedi.
Nulla di nuovo né sotto il sole, né sotto la pioggia: si chiama “Eterno ritorno dell’uguale” e siccome a teorizzarlo per primo è stato Nietzsche, si vede bene che il problema è annoso (essendo l’ombroso filosofo tedesco passato a miglior vita già nell’anno 1900) e in realtà non affligge solo i golfisti, o presunti tali.
Naturalmente questo eterno ritorno dell’(errore) uguale provoca effetti destabilizzanti sulla psiche del Carrellante. Non so voi, ma chi scrive è solito insultarsi a sangue ogni volta che l’errore di sempre si riaffaccia. E poiché l’evento non è dei più rari, questo rosario di auto-improperi, borbottante colonna sonora di tanti round, intacca decisamente l’autostima. Quella fiducia nei propri mezzi che era passata indenne attraverso decenni di professione dove, pure, le prove affrontate non erano state delle più semplici. Ma non basta. Non m’insulto solo sull’errore; in realtà torno a insultarmi anche se, sul colpo successivo, il tiro risulta impeccabile (non è frequente, ma capita). EÈ ’ il classico: “Non potevi farlo prima?” che solitamente accompagna la traiettoria di ogni provvisoria che decolli dritta e lunga dallo stesso bastone, impugnato dalla stessa persona, nella stessa posizione dalla quale un attimo prima era partito uno slice imperiale o un gancione impietoso.
Come si vede, perciò, in un modo o nell’altro finisce sempre a insulti: manchi un putt da mezzo metro (potrei tenere un seminario sull’argomento) e ti frusti con le parole; ne imbuchi un altro, del tutto casuale, da molto lontano e il copione si ripete: improperi su improperi, ancora riferiti all’errore precedente.
Umanamente diabolico e diabolicamente umano dunque, il Carrellante è l’errante per eccellenza. Erra perché sbaglia, erra perché si aggira per il campo al seguito delle sue traiettorie oblique. Ma non disprezziamolo più di quanto non meriti. Il Carrellante è, a modo suo, la rappresentazione dell’uomo che cerca sé stesso (oltre alla pallina, naturalmente); che s’interroga sul suo presente (“Che ci faccio qui?”), sul suo passato (“Ma chi me l’ha fatto fare di appassionarmi a questo gioco?”), sul suo futuro (“Riuscirò una buona volta a venirne a capo?”).
È, da questo punto di vista, l’espressione più alta dell’homo sapiens perché affronta, senza paura, i temi dell’esistenza. Ma, come il vero homo sapiens, anche l’homo golfisticus guarda il cielo, guarda le stelle e resta senza risposte per le eterne domande: “Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?”. Forse, però, se cominciasse ad andare a lezione, qualche risposta la troverebbe. Al “chi siamo e da dove veniamo” ci potrebbe pensare un’altra volta. Mica si può risolvere tutto subito.
Illustrazione di Lorenzo Duina