LA CONFRATERNITA DEI CARRELLANTI (4)

Il colpo del buon ricordo

Quel ferro perfetto che, dopo una giornata sciagurata, atterra in green a pochi passi dalla bandiera.E par che dica, beffardamente: “Lo vedi che ce la puoi fare?”

Di Massimo De Luca

I Carrellanti
Illustrazione di Lorenzo Duina

Lo spogliatoio di un Circolo, al termine di una gara, è una via di mezzo fra una tribuna oratoria e un confessionale laico. In tribuna salgono quelli che han giocato bene e si affrettano alla doccia smaniando di tornare davanti agli schermi del computer per verificare se il loro score è valso una vittoria. Prima però di consegnarsi al getto d’acqua non tralasciano, purtroppo, di ammannire agli astanti il racconto minuziosamente dettagliato delle loro gesta di giornata. Il fatto che la maggioranza dell’uditorio, frustrata dalla solita giornata-no, ascolti a testa china bofonchiando qualche improperio, non induce la minima remora nel trionfatore, che ha bisogno solo di orecchie in cui riversare la sua (insopportabile) cronaca. E quindi non arginerebbe la logorrea per nessun motivo al mondo.

Nel confessionale, invece, entrano (idealmente) tutti gli altri che, ruminando la rabbia e lo sconforto, sgranano giaculatorie sui misteri dolorosi del golf, avaro di certezze ma generosissimo di illusioni e disillusioni, speranze e disperazione, miraggi e macerie. Cosa si può pretendere, del resto, da uno sport di chilometri che si decide sui centimetri? Dove un putt mancato da pochi centimetri vale esattamente quanto un drive da 250 metri (uno vale uno: mi sa che questa storia l’hanno inventata i golfisti)? Dove un colpo con lo stesso ferro, dalla stessa distanza sortisce effetti completamente diversi se l’impatto con la pallina cambia di qualche millimetro appena? La condanna all’incertezza è garantita, ma non per questo ci si rassegna ad accettarla. Si cerca allora conforto, proprio come in un confessionale, da qualche interlocutore un po’ più saggio, un po’ più esperto che sappia trovare le parole giuste per sanare le ferite dello spirito, senza per questo assegnare poi penitenze, come accade nel confessionale vero (e sacro), dove al pentimento segue la lista dei Pater-Ave-Gloria da recitare.

Pur fregiandomi del titolo di fondatore della Venerabile Confraternita dei Carrellanti e quindi, in quanto tale, teoricamente depositario di una qualche matura consapevolezza, devo ammettere che talvolta m’inginocchio anch’io in quel confessionale (sempre idealmente, beninteso). Succede quando la delusione è particolarmente acuta, quando verifico che passano gli anni ma commetto sempre gli stessi errori, quando i progressi che effettivamente tocco con mano durante le lezioni evaporano non appena metto piede in campo. È in quei momenti, e quindi molto spesso, che avverto il bisogno di una voce amica.

Un pizzico di fortuna vuole che abbia, come vicino di armadietto, un consocio pacato, disincantato, saggio come solo l’età insegna a essere (e lui ha qualche anno in più dei miei, che pure pochi non sono). Ascolta, ma, diversamente da un vero prete in confessionale, non rivolge la classica domanda: «Quante volte, figliolo?». Piuttosto ha dei guizzi da fuoriclasse. Di recente, dopo essersi pazientemente sorbito la mia dose di lamentazioni, mentre in sottofondo andava l’irritante colonna sonora del fenomeno di giornata impegnato a descrivere le sue gesta, mi ha fissato bonariamente chiedendomi: «Ma “il colpo del buon ricordo” c’è stato?».

Il colpo del buon ricordo. Geniale. Non è come il piatto che ti porti via dal ristorante che t’è piaciuto, a completare la collezione (che mette un po’ tristezza, in verità). Il colpo del buon ricordo, ha argomentato il Saggio, è quel ferro perfetto che, dopo una giornata sciagurata, atterra in green a pochi passi dalla bandiera. E par che dica, beffardamente: «Lo vedi che ce la puoi fare?». E tu, che fino a un momento prima avresti voluto finalmente smettere; tu, che sei stato trattenuto a forza dagli amici, perché dopo aver sbagliato un numero indicibile di colpi, volevi scaraventare nel lago sacca e ferramenta; tu, che intravvedevi una vita affrancata dall’incubo della virgola e dal terrore dei tre putt; tu, proprio tu torni a gonfiare il petto, a credere che tutto sia possibile. Perfino, pensa un po’, di prendere un green in regulation. Il colpo del buon ricordo è la bustina di roba buona che l’infame spacciatore regala a chi ha smesso, per tornare a intrappolarlo nella sua ragnatela. È un momento lisergico che, naturalmente, fa perdere di vista la realtà e anche quel proverbio (tedesco) secondo cui una cosa che succede una sola volta è come se non fosse mai accaduta (“Einmal ist keinmal”, Milan Kundera ci ha costruito il suo libro più famoso).

Un solo ferro ben tirato proprio all’ultima delle 18 buche, dunque, è come se non fosse mai esistito se non si è capaci di replicarlo. È questa, proprio questa la famosa insostenibile leggerezza dell’essere. L’impossibilità di vivere un’altra vita, di rifare una scelta ai bivi dell’esistenza e, quindi, di ripetere un tiro perfetto. Il colpo del buon ricordo è un inganno. Dolcissimo, ma inganno. Ma questo il mio “confessore” non ha avuto il coraggio di dirmelo.

Illustrazioni di Lorenzo Duina